I contratti per gli immobili commerciali sono stati firmati prima dell’inizio della pandemia e non potevano, naturalmente, tenere conto del sopraggiungere di una situazione così straordinaria. Ora però le condizioni sono cambiate e a fronte dei mesi di chiusura e della probabile recessione autunnale, gli accordi sono diventati troppo onerosi per chi deve corrispondere il canone. Il rischio è quello di una catena di rescissioni, che porterebbe inevitabilmente a un crollo in questo settore di impresa. È quindi intervenuta la Cassazione, facendo chiarezza sulla gestione di queste tematiche a fronte dell’emergenza sanitaria. Per quelle locazioni commerciali il cui importo risulti oggi sproporzionato in ragione del diverso contesto economico e sociale, si può procedere a rinegoziare il contratto. Nel caso in cui i proprietari si rifiutassero, gli imprenditori potranno chiedere l’intervento del giudice per effettuare le modifiche (art. 2932 del Codice civile).
Il principio di partenza è quello dell’ “eccessiva onerosità”, al quale la parte interessata alla cessazione del rapporto può ricorrere nel caso in cui la pandemia abbia reso impossibile lo svolgimento delle proprie prestazioni. Nella maggior parte dei casi, però, l’emergenza Covid ha bloccato solo temporaneamente lo svolgimento del proprio lavoro e dunque il contratto dovrebbe essere conservato senza possibilità di rifarsi a nessuna eccezione prevista dalla legge.
Il problema è che mentre l’affittuario continua a godere del bene, attraverso il pagamento dell’affitto, i vantaggi derivati da un suo utilizzo concreto si sono ridotti, proprio a causa della pandemia. Diventa quindi necessario un modo per contenere l’aggravio economico. La Cassazione indica dunque la strada del principio di conservazione del contratto con revisione dei termini. Una rinegoziazione dunque rispetto alle condizioni previste nel periodo pre-Covid, resa possibile dall’articolo 1374 del Codice civile. In caso i locatori non siano dello stesso avviso, potrà intervenire il giudice e obbligarli a modificare l’accordo originario.
di Giulia Dallagiovanna
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