La questione relativa alla sussistenza del certificato di abitabilità di un immobile al momento dell’alienazione dello stesso e degli effetti da ricollegarsi all’eventuale mancanza del titolo in oggetto, costituiscono, tuttora, temi sui quali la giurisprudenza di legittimità e di merito si interroga, nel tentativo di fornire concreta, e definitiva, sistemazione organica ad una materia di particolare rilevanza pratica.
L’orientamento meno rigoroso
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza dell’11 febbraio 2022, n. 4467, ha affermato il principio che, allo stato, sembra essere quello maggiormente applicato, nella definizione giudiziale delle controversie che, in numero sempre crescente, affollano i Tribunale italiani e che vedono contrapposti (promissario) alienante e (promissario) acquirente.
Secondo il massimo Consesso, nella vendita di immobili destinati a civile abitazione, pur rappresentando il certificato di abitabilità un requisito giuridico essenziale ai fini del godimento del bene, la mancata consegna di detto certificato costituisce un inadempimento non essenziale del venditore.
Esso non incide in modo significativo sull’equilibrio delle reciproche prestazioni, sicché il successivo rilascio del certificato di abitabilità esclude la possibilità stessa di configurare l’ipotesi di vendita di aliud pro alio, cioè di un bene diverso da quello scelto dal compratore.
Tale enunciato, evidentemente, esclude non solo la risolvibilità del contratto, ma soprattutto, rende all’acquirente che si ritiene leso da tale mancanza particolarmente difficoltosa la prova, sempre necessaria, del danno patrimoniale presuntivamente subito, in dipendenza della stessa.
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L’orientamento più restrittivo
Di segno opposto la recente pronuncia del Tribunale di Palermo che, con la sentenza n. 2004 del 12 maggio 2022, ha accolto le pretese dell’acquirente risolvendo il contratto di compravendita immobiliare e condannando la parte venditrice alla restituzione del prezzo incamerato, proprio per effetto dell’omessa consegna del certificato di abitabilità.
Il Tribunale, infatti, ha sottolineato come il venditore sia onerato della consegna all’acquirente di un immobile che sia effettivamente dotato dell’abitabilità.
In assenza del relativo certificato, attestante la salubrità e la conformità alla legge del bene compravenduto, quest’ultimo sarebbe addirittura incommerciabile.
Per il giudice palermitano, in queste ipotesi, sarebbe ravvisabile un inadempimento essenziale da parte del venditore che determinerebbe, per chi compra, l’impossibilità del legittimo godimento e della normale (ulteriore) commerciabilità dell’appartamento.
Mancanza del certificato di abitabilità: cosa aspettarsi?
Come si vede, dunque, si tratta di due posizioni apparentemente inconciliabili che, tuttavia, a ben riflettere, trovano la loro naturale composizione nell’applicazione, al caso concreto, del principio di elaborazione giurisprudenziale del buon senso e della buona fede contrattuale.
In applicazione di detti criteri, la mancanza del certificato di abitabilità dev’essere valutata alla stregua delle condizioni effettive dell’immobile al momento della stipula del contratto, consentendone la risoluzione, e legittimando la richiesta risarcitoria conseguente, solo quando il bene sia talmente compromesso da non poter acquisire neanche in futuro l’abitabilità in parola (Cass. 17123/2020).
di Roberto Rizzo
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