È possibile regolarizzare un abuso edilizio senza che questo sia confacente al principio di doppia conformità?
Il Consiglio di Stato, con la sentenza 362/2022, è stato molto chiaro, rigettando il permesso rilasciato da un comune italiano e negando in modo definitivo una sanatoria considerata priva dei requisiti minimi previsti dal Testo Unico Edilizio.
Il caso della scala in metallo
I giudici, prima del Tar e poi del Consiglio di Stato, sono stati chiamati ad esaminare il caso di un uomo che ha effettuato lavori di finitura concernenti l’installazione di una ringhiera, un cancello e una scala in alluminio e che hanno riguardato, in parte, una porzione abitativa in comproprietà con il vicino di casa.
Nel caso in esame, il comune, seppur avesse concesso in prima istanza la realizzazione di tutte e tre le opere, ha accordato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria solo per due delle tre realizzazioni irregolari e comunque condizionato alla rimozione della scala in alluminio.
È bene precisare che, come previsto dal Testo Unico Edilizio, le opere edili erano sì state realizzate senza alcun titolo abilitativo, ma comunque nel rispetto della normativa vigente al momento della costruzione.
Ma come previsto dalla legge, sia in caso di opere edili non regolarmente denunciate sia nel caso di abusi edilizi, sono fatti salvi i diritti dei terzi che, per tutelarsi dagli interventi di natura irregolare che pregiudicano aree di propria competenza, possono sempre ricorrere al giudice ordinario.
Ed è proprio questo il caso, in cui il vicino dell’uomo, avendo subito un’opera di finitura senza che questa fosse stata concordata da tutte le parti in causa, ha presentato ricorso contro il permesso di sanatoria accordato dal comune.
Senza il principio di doppia conformità non c’è sanatoria
Una delle osservazioni dei giudici che hanno condannato la condotta del comune, non nuovo a questo tipo di concessioni, riguarda il principio di doppia conformità, secondo cui le opere realizzate devono rispettare non solo le norme urbanistiche in vigore al momento della realizzazione delle stesse, ma anche quelle in corso al momento in cui viene richiesta la sanatoria.
Benché l’autorità competente riconosca il permesso di costruire condizionato, e cioè la possibilità di introdurre correttivi a condizione che si tratti di integrazioni minime, la validità del caso specifico era subordinato alla rimozione di un’opera (la scala) oggetto di accertamento di conformità ai fini del rilascio della sanatoria.
Il TAR ha, quindi, accolto il ricorso del vicino, sottolineando la contraddittorietà del provvedimento: se la costruzione della scala era possibile sin dall’inizio (secondo le regole urbanistiche vigenti) non si spiega perché non lo fosse più in sede di sanatoria e quindi andava in ogni caso rigettata non rispettando il requisito di doppia conformità.
di Ludovica Russotti
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