La Riforma Catasto si fa sempre più concreta e, tra perplessità e timori per gli effetti collaterali economici della nuova normativa, in Italia scatta il confronto con le altre città europee: come funziona in Spagna, in Francia o in Germania? In base a cosa, il Regno Unito, calcola le imposte da pagare che rientrano nella Council Tax? Domande lecite che pongono l’attenzione degli italiani su punti in comune e disparità fiscali tra il Bel Paese e il resto d’Europa.
Italia: cosa cambierà dal 2026
Isi, Ici, Imu: così è cambiata la tassazione italiana del settore casa nel corso degli ultimi 20 anni. A dettar legge, in questo caso, sono stati gli estimi, ossia il metodo di valutazione con cui si stabilisce la portata economica di un immobile, che, a conferma di una delle più celebri frasi sul nostro paese (cfr. l’Italia è un paese per vecchiI), in Italia sono fermi a un dato revisionale risalente al 1991. È proprio su questo punto che Governo e Commissione Finanze hanno votato dando il via ad un progetto che, nei prossimi quattro anni, porterà a un cambiamento delle carte in tavola, con non poco dissenso da parte della popolazione. Dal 2026, quindi, finisce l’era degli estimi calcolati sul numero di vani catastali: l’unico modo per valutare il valore reale di un immobile – al netto di caratteristiche quali la posizione geografica o i servizi del quartiere in cui è sito – si baserà sul sistema dei metri quadrati.
Cosa comporta questo cambiamento in termini economici? Se da un lato si promette una rimodulazione degli estimi in modo che rispecchino i valori di mercato, la portata della variazione è ampia e i proprietari di case, edifici, fabbricati e strutture commerciali temono – a ben vedere – un inasprimento della già importante base imponibile.
La situazione in Italia secondo l’Agenzia delle Entrate
La riforma catastale, così come pensata, andrà a incidere su 76,5 milioni di unità immobiliari (questo il dato più aggiornato trasmesso dall’Agenzia delle Entrate), di cui solo 10,5 milioni non censibili. Il valore fiscale di ogni immobile, questi ultimi divisi in base alla destinazione d’uso (gruppo A per immobili residenziali e uffici, B per edifici pubblici o privati a fruizione collettiva come biblioteche, scuole, musei, C per negozi, laboratori e box e D per banche ed edifici industriali), viene conservato al Catasto e calcolato grazie alla stima catastale – appunto – che, fino ad oggi, si è basata sul numero di vani di cui l’unità (abitativa e non) è composta. Diverso, invece, per tutto ciò che concerne la storia dell’immobile (proprietà, ipoteche, mutui ecc.) che viene conservata all’interno dei registri immobiliari.
Spagna, Germania, Francia e Gran Bretagna
Ma come funziona negli altri Paese Europei? Se la Spagna, come spesso accade, resta verosimilmente fedele al modello italiano con il Catasto e il Registro de la Propriedad ma con una simil Imu calcolata sul valore catastale e dal valore variabile in base alle amministrazioni comunali, la Germania ha introdotto sì, una tassa sugli immobili, ma la sua riforma Grundsteuer in partenza dal 2025 andrà a tener conto non solo dei metri quadri (in questo caso la superficie lorda e superficie realmente abitabile), ma altri parametri come il tipo di proprietà (l’equivalente dei nostri “gruppi”), la superficie totale dell’edificio che ospita l’unità immobiliare, l’anno di costruzione e l’ammontare annuo ricavabile da un ipotetico affitto.
Altra storia per la Gran Bretagna che, pur non avendo un Catasto ma solo un registro che fa da garante su proprietà e caratteristiche dei beni, rimette alla decisione del Borough il valore della Council Tax, l’Imu inglese calcolato in base al codice postale degli edifici.
Infine la Francia che con la sua Taxe foncière, il cui valore viene revisionato ogni due anni, fissa l’imponibile delle imposte sugli immobili al 50% del valore con cui questi ultimi sono stati registrati al catasto in fase di locazione.
di Ludovica Russotti
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