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Mediatore immobiliare: quando percepisce un compenso?

Ai fini della configurabilità del rapporto di mediazione, e quindi della nascita del diritto al compenso da parte del professionista, non è necessaria l’esistenza di un preventivo conferimento di incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, ma è sufficiente che la parte abbia accettato l’attività del mediatore, avvantaggiandosene.

Il rapporto di mediazione, ossia l’interposizione neutrale tra due o più persone al fine di agevolare la conclusione di un determinato affare, non presuppone, infatti, necessariamente un preventivo accordo delle parti sulla designazione/indicazione fisica della persona del mediatore.

Basta, a tale fine, che sia configurabile una concreta attività intermediatrice che i contraenti accettano anche soltanto tacitamente, utilizzandone i risultati ed i benefici ai fini della stipula del contratto.

Pertanto, qualora il rapporto di mediazione sia sorto per incarico di una sola delle parti, ma abbia avuto poi l’acquiescenza dell’altra, anche quest’ultima resta ugualmente vincolata verso il mediatore ed anche a suo carico (che pur non ha conferito mandato) sussiste l’obbligo di pagare il professionista.

Questi i fondamentali principi di diritto che si ricavano dall’ordinanza n. 7029/21 della Suprema Corte di Cassazione che riprende il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 869/2018).


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La vicenda al vaglio della Cassazione

Nella caso specifico, un agente immobiliare conveniva in giudizio la parte che aveva concluso una compravendita immobiliare, per vedersi riconoscere la propria provvigione per l’opera di mediazione prestata.

In primo grado, le sue ragioni erano integralmente riconosciute, mentre in appello la decisione veniva integralmente riformata.

Il giudice, infatti, riteneva che gli elementi probatori acquisiti non avessero adeguatamente dimostrato né l’esistenza di un formale incarico di mediazione, né che la compravendita fosse stata conclusa per effetto dell’intervento del mediatore.

Il mediatore era, quindi, ricorso in Cassazione ribadendo, in primo luogo, che nessun dubbio poteva sussistere sul mandato ricevuto dalla sua agenzia per la vendita, ed evidenziando che, in ogni caso, il diritto dell’intermediario alla provvigione sussiste (e sorge) quando la conclusione dell’affare sia determinata proprio per l’opera svolta dallo stesso, pur in assenza di mandato, purché la parte ne abbia tratto vantaggio.

La prova del nesso causale

La Cassazione, investita della controversia, ha accolto il ricorso ed ha ribadito che il rapporto di mediazione non necessita di un preventivo accordo delle parti sulla persona del mediatore, mentre è configurabile ogniqualvolta sia individuabile una materiale attività intermediatrice che i contraenti abbiano accettano, anche soltanto tacitamente, utilizzandone i risultati ai fini della stipula del contratto.

Decisiva, a detti fini, la prova del nesso causale che deve sussistere tra attività fattuale dell’agente e conclusione della vendita e che, nel caso di specie, ad avviso della massimo Collegio, era stata effettivamente fornita dal ricorrente.

di Roberto Rizzo

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