Salvo particolari eccezioni o casi specifici, la clausola inserita nel contratto di mediazione “ad affare fatto” non comporta il venir meno della provvigione da corrispondere all’agente anche se poi la vendita non si perfeziona.
Ai fini del riconoscimento del diritto alla provvigione, infatti, è sufficiente la sottoscrizione del preliminare tra le parti, indipendentemente dalla mancata conclusione del contratto definitivo.
Il mediatore
Ai sensi dell’art. 1754 del codice civile, si qualifica come mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione dell’affare. E per il riconoscimento del diritto alla provvigione è sufficiente anche l’esplicazione della semplice attività che consiste nella ricerca e indicazione dell’altro contraente o nella segnalazione dell’affare.
Ciò vuol dire che, affinché il mediatore abbia diritto al compenso, è sufficiente che la conclusione dell’affare possa ricollegarsi all’opera di quest’ultimo svolta per l’avvicinamento dei contraenti. Purché, però, tale attività costituisca il risultato utile della condotta posta in essere dal mediatore stesso e, poi, valorizzata dalle parti.
Diritto alla provvigione
Il fondamento del diritto al compenso è da ricercarsi nell’attività di mediazione. Questa si concretizza nella messa in relazione delle parti, che viene vista come la fase indispensabile per arrivare, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione dell’affare.
In un caso deciso dalla Cassazione (ordinanza n. 21575 del 18 settembre 2017), la conclusione dell’affare si è ritenuta integrata dalla conclusione del contratto preliminare di vendita intervenuto tra le parti, mentre, ai fini del riconoscimento del diritto alla provvigione, sono indifferenti le vicende successive che hanno condotto le parti a non concludere il contratto definitivo.
Il contratto preliminare
La semplice proposta di acquisto fa sorgere il diritto del mediatore alla provvigione. Alla conclusione del preliminare va riconosciuto l’effetto dell’insorgere del diritto alla provvigione, indipendentemente dalla scadenza o meno del mandato.
In un caso concreto, il titolare di un’agenzia immobiliare si era visto negare la provvigione perché nel contratto di mediazione era inserita la seguente clausola: “resta inteso che il compenso sopra indicato non sarà dovuto in caso di mancata vendita”.
Questa clausola avrebbe introdotto una condizione sospensiva, che subordinava il compenso del mediatore al positivo esito della compravendita. E poiché, nel caso di specie, le parti, dopo il preliminare, non avevano stipulato il rogito definitivo, tale condizione non si sarebbe verificata.
Secondo i giudici tale interpretazione della clausola è errata, perché contraria ai principi di correttezza e buona fede e che si presta a “comportamenti elusivi” che “tolgono effetto allo stesso contratto di incarico”. Per la Suprema Corte, invece, appare ragionevole ritenere che l’espressione “il compenso non sarà dovuto in caso di mancata vendita” debba essere intesa quale vendita non in senso giuridico, ma in senso economico, quale mancata conclusione dell’affare. Quindi, al mediatore è comunque dovuto il compenso per l’attività svolta.
di Giuseppe Donato Nuzzo
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