Tra le numerose problematiche che la giurisprudenza (cfr. tra le tante Cass., 14 gennaio 2011, n. 747; Cass., 3 agosto 2010, n. 18035) ha dovuto affrontare c’è quella di una eventuale possibilità di prevedere una regolamentazione contrattuale dei fenomeni immissivi, fin dal momento della stipula del contratto di compravendita.
In altre parole, ci si è chiesti se: partendo dal presupposto che l’acquirente dell’immobile abbia la necessità di destinare parte dell’immobile allo svolgimento di determinate attività (studio, riposo, attività professionale), è possibile dedurre tale necessità nel contratto in modo da caratterizzare quest’ultimo ai requisiti essenziali del contratto di compravendita? E quali sarebbero i rimedi del compratore qualora l’appartamento acquistato dovesse risultare particolarmente rumoroso a causa dell’installazione di numerosi condizionatori all’esterno della facciata condominiale?
La tutela alla quieta garantita dalla Legge
Il codice civile del 1942 prevede, a tutela dell’interesse del compratore, una responsabilità del venditore per i vizi della cosa preesistenti alla conclusione del contratto, riconducendola, nell’alveo di un’obbligazione di garanzia nascente dal contratto stesso.
Precisamente l’art. 1476 del codice civile quando elenca «le obbligazioni principali del venditore», al n. 3 include «quella di garantire il compratore dai vizi della cosa».
Alla medesima finalità fa, inoltre, riferimento l’art. 1490, comma 1°, del codice civile, laddove stabilisce che «il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore».
I rimedi possibili
I numerosi risvolti teorici e pratici che la questione in esame comporta rendono particolarmente interessanti le rarissime pronunce emesse in materia.
Va premesso, in via di principio, che la giurisprudenza prima di emettere un giudizio in merito ha sempre verificato la possibilità che il medesimo fenomeno rientri al tempo stesso nella previsione della disciplina di cui agli artt. 844 e 1490 c.c., costituendo insieme immissione e vizio della cosa.
Secondo la formulazione usuale, i “vizi” si rinvengono allorquando il bene, pur avendo tutti i requisiti pattuiti, presenta comunque imperfezioni materiali e deficienze cagionate dal processo di fabbricazione, produzione e conservazione ovvero altra imperfezione o alterazione della cosa (Cass., 13 gennaio 1997, n. 244. Nel caso di specie, il compratore di un immobile scopriva che dall’appartamento posto al piano superiore provenivano rumorosità causate dalle tubazioni che portavano l’acqua calda al lavabo del bagno di quell’appartamento).
In base a tale principio, la Cassazione ha stabilito che “in tema di compravendita, la preesistenza del vizio rispetto alla conclusione del contratto di compravendita rende responsabile il venditore per aver alienato un bene oggettivamente affetto da un determinato difetto, senza che rilevi, né la astratta possibilità della coesistenza di tale profilo di responsabilità con quello, concorrente del vicino, ai sensi dell’art. 844 c.c., né il mancato superamento della soglia di normale tollerabilità delle immissioni, poiché il predetto limite è specificamente stabilito per la proponibilità della sola azione ex art. 844 c.c.” (Cass. 22 agosto 1998, n. 8338).
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Quali rimedi possono essere esperiti per tutelare il nuovo acquirente?
Alla luce di quanto stabilito, la dottrina e la giurisprudenza si sono chiesti quali rimedi possono essere esperiti per tutelare il nuovo acquirente.
L’azione di riduzione del prezzo
La prima soluzione prospettabile è quella dell’azione di riduzione del prezzo che, secondo la migliore dottrina e giurisprudenza, svolge la funzione di ripristinare l’equilibrio tra le prestazioni mediante una rettifica del contratto che consente, al compratore che ne abbia interesse, di conservare ugualmente il bene viziato.
La riduzione, ovviamente, dovrà essere tale da porre il compratore nella stessa situazione economica in cui si sarebbe trovato se al momento della contrattazione avesse conosciuto i vizi della cosa e quindi stipulato ad un prezzo inferiore (c.d. interesse negativo).
Il suo risparmio sarà, quindi, corrispondente alla diminuzione percentuale del valore cagionata dai vizi rispetto al costo pattuito, e non a quello di mercato.
Per quanto concerne il valore di scambio, la giurisprudenza ha affermato che la presenza di “vizi acustici” incide negativamente sul valore dell’immobile, che può subire un deprezzamento.
Di notevole rilevanza sono due pronunce: Tribunale di Milano, 5 marzo 2001, n. 2600 ha quantificato tale deprezzamento, nel caso deciso, nella misura del 20% del valore dell’immobile.
È dunque evidente che, in termini economici, le conseguenze dell’inadeguata insonorizzazione acustica dell’immobile possono essere molto gravi.
La seconda sentenza è stata emessa dal Tribunale di Torino, 23 aprile 2007, n. 2715, che ha condannato un costruttore a restituire agli acquirenti una parte del prezzo pagato per l’acquisto di un appartamento, a causa dell’insufficiente isolamento acustico del soffitto che causava rumori da calpestio superiori ai limiti di legge.
Il giudice ha deciso di quantificare il difetto in una somma pari al 20% del costo di acquisto dell’appartamento; infatti, l’inadeguatezza dell’isolamento acustico riduce considerevolmente il valore dell’immobile, ai sensi dell’art. 1490 c.c.. In conclusione, il costruttore è stato condannato a restituire agli acquirenti il 20% del prezzo pagato.
Il risarcimento del danno
Proseguendo nella nostra analisi dei rimedi prospettabili qualche considerazione merita l’eventualità che l’acquirente ottenga il risarcimento del danno previsto dall’art. 1494 c.c..
Lo stesso principio è applicabile in caso di locazione. Infatti, la Cassazione con sentenza del 3 febbraio 1999, n. 915, ha fondato la propria pronuncia eminentemente sull’applicazione diretta dell’art. 32 Cost. alla fattispecie delle immissioni di rumori intollerabili.
Secondo i Giudici, il locatore è tenuto a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore in conseguenza delle condizioni abitative dell’immobile locato, quand’anche tali condizioni fossero note al conduttore al momento della conclusione del contratto, in quanto la tutela del diritto alla salute prevale su qualsiasi patto interpretativo di esclusione o limitazione della responsabilità.
Il venditore è tenuto al risarcimento del danno solo in caso di colpa, concetto che comprende non soltanto l’ipotesi di conoscenza ma anche di mera conoscibilità dei vizi, intesa come possibilità per il venditore di accertare con un comportamento di normale diligenza che il bene era viziato e, quindi, di renderne l’acquirente consapevole (Cass., 22 agosto 1998, n. 8338).
È evidente, infatti, che la conoscenza (o conoscibilità) del vizio da parte del venditore assume rilievo ai fini del risarcimento solo in quanto ricollegabile ad un comportamento non corretto e, quindi, sanzionato.
La ratio della norma risiede pertanto nella volontà di sanzionare chi ha provocato l’evento dannoso con il proprio dolo o la propria (colpevole) ignoranza.
Ne discende che incombe sul venditore un onere di verifica circa la sussistenza dei vizi e, in caso di scoperta, un obbligo di comunicazione. L’azione di risarcimento, quindi, è del tutto autonoma rispetto alle altre azioni di garanzia ed infatti potrà essere esercitata anche da parte di chi non abbia chiesto la riduzione del prezzo o la risoluzione contrattuale.
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