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Termovalorizzatori: una soluzione senza rischi per lo smaltimento rifiuti

Il problema dei rifiuti, specialmente nelle grandi città, è molto attuale e spinge a chiedersi quale sia la soluzione ottimale per il loro smaltimento.

Naturalmente, la soluzione ideale sarebbe il riciclo totale dei rifiuti, ma ciò non è possibile, sia perché non tutti i materiali si possono riciclare, sia perché il riciclo produce comunque scarti, pari a circa il 20% del materiale riciclato.

Quali sono le possibili soluzioni?

Le possibili soluzioni sono due:

  • la tradizionale discarica;
  • l’incenerimento.

La seconda opzione genera un impatto ambientale otto volte inferiore rispetto all’uso delle discariche e il peso dell’incenerimento sul totale delle emissioni da gestione dei rifiuti è dell’1%, a fronte del 75% delle emissioni riconducibili allo smaltimento in discarica.

Inoltre, il ricorso al termovalorizzatore genera energia: attualmente, quella prodotta dall’incenerimento soddisfa il fabbisogno di circa 2,8 milioni di famiglie italiane.

Un’altra criticità della discarica sta nel fatto che le regioni che vi ricorrono di più non riescono a smaltire tutto in questo modo e spesso, a fronte di costi elevati, esportano i rifiuti all’estero, in impianti che poi generano energia bruciando i nostri rifiuti.


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Le preoccupazioni per la salute

Una delle obiezioni più frequenti all’uso dei termovalorizzatori riguarda i potenziali effetti sulla salute causati da sostanze inquinanti presenti nelle emissioni, quali metalli pesanti, diossine e furani.

Tali preoccupazioni sono da ricondurre a impianti di vecchia generazione e a tecniche di gestione utilizzate prima della seconda metà degli anni Novanta.

I rischi sono notevolmente ridotti se invece si ha a disposizione un impianto di nuova generazione: se ben progettato e correttamente gestito, esso emette quantità modeste di inquinanti e non comporta alcun reale rischio per la salute.

Sulla base dei dati emersi da uno studio condotto nel 2021 da professori del Politecnico di Milano, del Politecnico di Torino, dell’Università di Trento e dell’Università di Roma 3 Tor Vergata, contenuti nel “Libro bianco sull’incenerimento dei rifiuti urbani”, il più aggiornato e qualificato studio italiano sull’impatto degli inceneritori su salute e qualità della vita, solamente gli inceneritori obsoleti sono caratterizzati da elevati livelli di emissione e hanno aumentato il rischio di tumori a stomaco, colon, fegato e polmoni.

Viceversa, gli impianti costruiti negli ultimi vent’anni emettono quantità modeste di sostanze inquinanti, vale a dire lo 0,03% delle Pm10, lo 0,007% degli idrocarburi policiclici aromatici e lo 0,2% di diossine e furani.

I termovalorizzatori in Italia

Gli inceneritori presenti oggi in Italia sono 37 e sono concentrati al Nord, che ne possiede 26, di cui 20 nelle sole Lombardia ed Emilia-Romagna, mentre Centro e Sud ne hanno complessivamente solo 11, pur essendo le zone in cui il problema rifiuti è più grave, con basse percentuali di riciclo, ampio ricorso alle discariche e gravi disservizi.

Tale carenza di impianti nel Centro-Sud impedisce di trattare 5,7 milioni di tonnellate di spazzatura in più all’anno e causa il ricorso allo smaltimento in discarica, che si attesta al 20%.

L’Unione europea però ha fissato degli obiettivi precisi: nel 2035 occorrerà raggiungere il 65% di riciclo effettivo e il ricorso alle discariche dovrà essere inferiore al 10%.

Per allinearsi a tali direttive all’Italia servono altri 30 impianti tra termovalorizzatori e strutture per il compostaggio.

di Vincenza Formica

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